L’antica arte della procrastinazione

Procrastinare
/pro·cra·sti·nà·re/
verbo transitivo / significato:
Rinviare a un altro momento, differire, rimandare.

E chi non l’ha mai fatto?

In Psicologia si definisce procrastinazione quel comportamento che spinge a ritardare volontariamente un’azione nonostante prevedibili conseguenze future negative, optando quindi per il piacere di breve durata a costo dei benefici a lungo termine.

Vero.

Ma rimandare continuamente qualcosa significa anche qualcos’altro.

Proviamo a dare un significato più profondo a questo atteggiamento. Spesso procrastiniamo perché non siamo pronti a fare quel passo, rimandiamo per paura di fallire, di nuovo o per la prima volta. A volte temporeggiamo e facciamo di tutto per non affrontare situazioni che potrebbero portarci ad un altro livello, o su un’altra strada che, forse, non siamo ancora pronti a percorrere.

La procrastinazione è una strategia emozionale per evitare lo stress e le emozioni dolorose, e lo facciamo nonostante sappiamo non sia una buona idea.

Mi sono ritrovata a pulire gli angoli più remoti della casa o a spostare mobili e quadri, il tutto per non affrontare compiti, noiosi o molto difficili, nello studio e nel lavoro.

Insomma ho procrastinato e mandato a puttane scadenze davvero importanti.

Ma perché?

Pur essendo io regina dell’organizzazione, agende cartacee e telematiche, moleskine e quaderni di ogni tipo, cado in blocchi mentali ripetitivi. Sì che il periodo non è sereno per nessuno, ma questa voglia di non portare a termine le cose dovrebbe rivedere le sue priorità nella mia personalità.

Quello che ho capito è che arrabbiarsi non serve a niente.

Ho scoperto nel mio procrastinare due cause: eccessiva fiducia nell’Io futuro, cioè mi illudo che domani sarò più motivata, più concentrata e più produttiva (sé cazzi, senza giri di parole. Non è mai così). La seconda causa che, opprime la mia esistenza dall’età dei vent’anni, è la tendenza al perfezionismo. Per cui non posso contemplare delle défaillance, vivo con estremo disagio l’idea di fallire e ogni volta che succede è un lutto che dura giorni (o mesi).

Non ho un vero e proprio rimedio da darvi, se non l’azione. Fare un programma, cercare di portarlo a termine, mettere orologi che scandiscano 50 minuti di lavoro e 10 minuti di pausa, è un esempio. Non sovraccaricarsi di lavoro o studio, andare per piccoli passi. L’azione, il fare, anche poco, è l’unica cosa che funziona davvero perché è un rinforzo positivo anche mentale che funziona da motivazione e da incoraggiamento.

E poi accettare di essere imperfetti e fallibili può essere senza dubbio anche d’aiuto (qui ancora non ho esperienza diretta).

Touché.
Azionatevi.

Carlotta Tomaselli

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